ANCHE A MACCAGNO HO PAGATO PEGNO E ...

... SONO STATO ANCORA UNA VOLTA INDEGNO

Per cause di forza maggiore salto la giornata di venerdi: non sono riuscito ad ottenere le ferie e lavoro all’Argentario, un posto bellissimo con un paio di difetti: una settimana di tempo infame dove mi sono inzuppato come un cantuccino nel vin santo e una distanza di appena 700 chilometri dal campo di regata. il coefficiente di complicazione Di questa trasferta è all’altezza di quello di altre regate epiche come quelle al Garda (svegliato alle tre di notte perché il mio timoniere aveva bucato la ruota del carrello e non aveva quella di ricambio) o in Francia (dodici ore di auto con un catamarano al seguito). Il mio timoniere Stefano è paziente e decide di non sostituirmi con un prodiere meno problematico.

Dopo 500 chilometri sotto la pioggia busso alla porta di casa alle 22.30 di venerdi, ignaro degli ignobili risultati di Mermod-Moser (quattro primi posti su quattro prove). Capisco che un vento tra i 7 e i 12 nodi li abbia invogliati a mostrare tutto il loro talento e che si deve onorare il titolo di campioni europei, ma alcuni comportamenti rasentano la maleducazione.

Mio figlio è già in configurazione regata e mi saluta con un “ciao velista” (meglio del “papà un giorno ho avuto quasi nostalgia di te” con il quale mi ha accolto dopo due settimane di latitanza). Il tempo di preparare la borsa e sono sotto le coperte con un piccolo dubbio: perché nessuno mi ha dato lumi sugli orari delle prove del sabato? I 41 messaggi scambiati prima della mia richiesta dimostrano che la lista WhatsApp è presidiata e i 7 messaggi successivi sono rassicuranti: sono tutti incentrati sull’organizzazione della cena.

Alle sei e mezza sono comunque in piedi, con l’obiettivo di essere sul campo di regata alle nove e mezza. Il fatto che qualche equipaggio faccia colazione all’alba non mi fa sorgere dubbi: l’alloggio sarà rumoroso o qualcuno condivide la stanza con un russatore seriale. Nessuno ha risposto alla mia richiesta sull’orario, quindi spero che partendo alle otto da Milano io possa arrivare in tempo. 

Mai speranza fu più vana.

A 10 chilometri da Maccagno vedo diverse vele in acqua. E sono dei Fireball. Non pensavo di essere così temuto da farmi tagliare fuori anche dalle regate della seconda giornata.

Stefano la prende con filosofia, io meno: sono a metà della vestizione quando danno la seconda partenza. Inutile andare in acqua, si aspetta la fine della prova.

Le istruzioni di regata presentano quattro possibili percorsi, giusto per non farci mancare nulla.

Piove che, per essere un fine novembre a Maccagno, non è una novità. Visto che a terra sembrano 12 nodi, (secondo la giuria hanno oscillato tra i 10 e i 16) e il kite vola senza problemi, settiamo la barca di conseguenza. 

Quando ci presentiamo in acqua al comitato di regata il loro benvenuto (“vi siete svegliati tardi”) ci suona un pochino irriverente. Oltre al danno la beffa.

Il nostro settaggio si rivela presto più temerario del previsto: nella terza prova il vento cala inesorabilmente, e la giuria decide di mandare tutti a casa alla fine della seconda bolina. Anche (ma non solo) grazie al settaggio sbagliato siamo ultimi di nome e di fatto, con un RS Aero che ci supera alla fine della prima bolina e che non riusciamo a recuperare di poppa. Mermod-Moser sono ancora quelli della prima giornata e vincono tutte e tre le prove. Da capire se il sorriso da un orecchio all’altro di Moser sia dovuto ai risultati in acqua o alla fanciulla degna di nota che sfiora a terra.

Probabilmente mio figlio ha parlato con gli Svizzeri ed evita di chiedere informazioni sul primo posto: 

“se arrivato secondo, terzo, quarto?”

Siamo vicini a Giovanni, che ha modificato il suo Winder introducendo un trasto con pistone per abbassare il boma. Il tutto ha l’aspetto di una tenso-struttura in alluminio degna di due tesi universitarie, la prima in Scienza delle Costruzioni la seconda in ginnastica artistica (mi sembra impossibile che Stefanini sia riuscito ad infilare il braccio dentro i cassoni laterali per stringere i dadi). Chissà se implementando lo stesso marchingegno sulla nostra barca e dovendo rispettare rigorosamente la sua coperta in legno il tutto diventerebbe un marchinlegno…

Domenica riusciamo finalmente a partecipare a tutte e tre le prove, caratterizzate da un vento gagliardo (secondo la giuria 16 nodi con punte di 18) che alla fine cala fino a 8 nodi.

Nella prima regata non riusciamo a capire perché a poppa della barca giuria non c’è la boa che segnala l’arrivo. Ci avviciniamo per chiedere dove sia l’arrivo e la risposta ci spiazza 

“E’ lì”

a poppa di un gommone alla fonda dall’altra parte del lago. Non ricordando che in questo percorso la barca comitato non diventava barca di arrivo riusciamo ad arrivare ultimi e farci superare da Daniele Liberati.

Nelle altre regate poco da dire: un incrocio da batticuore con spinnaker con degli svizzeri (noi mura e dritta loro mura a sinistra a distanza di pochi centimetri da una strambata involontaria di uno dei due), un tesabase che si sgancia, lo spinnaker che non scende perché la scotta si è incastrata nella varea del boma.

Portiamo a casa un 15-esimo, un 14-esimo, un 13-esimo e delle belle foto di Urs Haerdy. Una buona progressione se non si tiene conto che alla prima e alla terza prova eravamo gli ultimi di quelli che sono scesi in acqua. Ma, come affermava il sindaco di Washington qualche tempo fa, “se si esclude il numero di omicidi il tasso di criminalità della mia città è equiparabile a quello delle altre città statunitensi”. Meglio di noi fanno Giovanni Dagnino (quinto a tre punti dal terzo), Carlo Zorzi (sesto) e tutti gli altri italiani.

Mermod-Moser scartano due primi, un atteggiamento che ricorda sprezzante quello di una regatante francese nel 1789 (“il popolo non ha pane? Che mangino croissant!”). Parafrasando Umberto Eco (un articolo del 2002) una cosa è la buona educazione verso chi ti ospita e la sensibilità nei confronti dei più deboli e un’altra l’esercizio spregiudicato di capacità veliche ottenute in anni di allenamenti e regate.

A fine giornata il minorenne del quale sono indegnamente il padre mi saluta come si deve:

“Ciao velista scarso”

Spero l’abbia detto in base alla classifica e non vedendomi arrancare in acqua.

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