Il Fireball: un dinghy fuori dal coro...


Presentato nel 1963, il Fireball si è imposto per le sue caratteristiche accattivanti all'attenzione del pubblico soprattutto nei paesi anglosassoni, dove ha trovato una larga diffusione. Il suo progettista, l'architetto inglese Peter Milne, è riuscito ad esprimere una filosofia velica innovativa, disegnando una deriva “bagnata”, ma in grado di navigare anche in condizioni estreme. 

Complessivamente le linee d'acqua sono tese alle prestazioni con vento fresco: uno scafo sottile (4.63m di lunghezza con un baglio di 137cm) con bordo libero molto basso e uscita di poppa assolutamente piatta, un peso ridotto (76,4 kg) e un piano velico generoso (11.43mq per randa e fiocco + 13mq per lo spi) fanno del Fireball un doppio a trapezio molto performante, con un rapporto massa/superficie velica molto basso. Il passaggio dal regime dislocante a quello planante avviene già a 10 nodi al lasco e 14 nodi di bolina. 

Il look singolare a spigolo e senza una prua tradizionale trova giustificazione proprio nel fatto che la barca esprime tutto il suo potenziale a regime planante. In altre parole: la prua non c'è perché non serve, così come lo spigolo c'è perché lo scafo deve essere piatto. Quindi sia la prua tronca, sia lo spigolo vivo non hanno funzioni idrodinamiche, ma solo di “raccordo” tra opera viva e opera morta. 

Queste caratteristiche fanno del Fireball una deriva assolutamente moderna. Quando il Fireball entra in planata non è un semplice surfare sull'onda, ma un inebriante planare di potenza esaltato dal movimento dell’equipaggio.

 

Peter Milne al timone del Fireball n°0 nelle acque di Hayling Island 1963 - Foto di Tom Gruitt
Peter Milne al timone del Fireball n°0 nelle acque di Hayling Island 1963 - Foto di Tom Gruitt

Il piano velico comprende una randa proporzionalmente importante e un fiocco poco sovrapposto di dimensioni così ridotte da renderlo quasi autovirante, esaltando in questo modo la tattica e il combattimento ravvicinato con gli avversari. 

Lo spinnaker (13 mq) ha normalmente un taglio da lasco, dato che la Classe internazionale predilige percorsi a triangolo. Gli alberi più usati sono il Selden Alto (più rigido), il Selden Cumulus e il Superspar M7 (più flessibili). Gli estrusi sono i medesimi di quelli usati nel 470, ma cambia la posizione delle crocette (più alte, e quindi più corte, per il Fireball). 

Le regolazioni si presentano decisamente necessarie per adeguarsi alle condizioni più diverse di vento e mare. Si lavora molto sul rake: a parità di tensione sulla ghinda (200kg sullo strallo di prua) si modifica la lunghezza delle sartie, variando il rake da 692 a 676cm. 

Agolettando l'albero si produce un aumento della prebend (smagrendo la randa e aprendo la balumina), un abbassamento-arretramento del centro velico (contestualmente si alza la deriva per alleggerire il timone) e un aumento del canale tra randa e fiocco (evitando di scaricare sulla randa quando questa viene lascata in raffica). Il canale randa-fiocco è gestito anche dalla posizione del punto di scotta fiocco che può essere finemente regolato in navigazione, sia in verticale sia in laterale.  

 

Paolo Brescia e Ariberto Strobino al Campionato Europeo Fireball 2012 - Yacht Club Bracciano Est
Paolo Brescia e Ariberto Strobino al Campionato Europeo Fireball 2012 - Yacht Club Bracciano Est

 La prebend viene controllata dal puntone che, se a spingere, contrasta l'azione del vang e, se a tirare, si oppone alla spinta provocata dal tangone che nei laschi tende ad invertire l'albero potenziando troppo la randa. Si utilizza il puntone a tirare anche in condizioni di pochissimo vento, quando occorre aumentare la prebend data dalla geometria delle crocette. Per variare la prebend si può disporre anche di crocette regolabili dal pozzetto in navigazione. L’ultima tendenza è ora quella di sostituire il puntone tra coperta e albero con un uso combinato di un “puller” in tessile e zeppe nella mastra.

Ad oggi i Fireball più performanti sono costruiti dai cantieri inglesi Winder e Weathermark.

Essendo bandito il carbonio per cercare di contenere i costi, scafo e coperta sono realizzati in Kevlar preimpregnato con resine epossidiche e lavorato sottovuoto. 

Le appendici anch’esse in kevlar sono di ottima fattura progettuale. Timone e deriva sono disponibili a profilo sia ellittico sia rettangolare, e si può scegliere tra naca 00, 63, 63A2. 

Tutte le manovre (punto di scotta fiocco, cunningham, puntone/puller, base, vang e ghinda) sono rinviate in pozzetto e manovrabili agilmente dal timoniere anche alle cinghie. Da notare infine che il Regolamento di Classe, così rigorosamente restrittivo su misure, materiali e pesi minimi, lascia libera la scelta dell’armamento, favorendo la ricerca tesa ad una sempre più funzionale variazione del tuning in navigazione, anche con vento forte. Negli anni, infatti, grazie all’armamento e ai materiali sempre più performanti, si è alzata notevolmente la soglia di navigabilità in condizioni meteo marine sempre più estreme.

A distanza di oltre mezzo secolo, il Fireball esprime ancora la stessa carica innovativa con cui è stato concepito, esaltando ciò che contraddistingue la vela contemporanea, per la quale la percezione della velocità, più che a partire dall’applicazione di uno sforzo, risulta dal sentirsi “immersi” in un flusso energetico preesistente, in cui sentirsi “dentro” e per il quale lo scopo del gioco è opporre meno resistenza possibile.

 

Paolo Brescia

L'armo del Fireball, nella versione originale, non aveva né trapezio né spinnaker (sarebbero stati aggiunti qualche anno più tardi) e richiedeva un forte sforzo da parte del prodiere! - photo © Turner
L'armo del Fireball, nella versione originale, non aveva né trapezio né spinnaker (sarebbero stati aggiunti qualche anno più tardi) e richiedeva un forte sforzo da parte del prodiere! - photo © Turner